Transizione 4.0, risultati e aspettative


Il quadro attuale presuppone per il futuro un depotenziamento degli incentivi alla digitalizzazione delle imprese, che risultano sensibilmente ridotti come previsto dall’ultima versione del piano Transizione 4.0, finanziata con le risorse del PNRR dal Governo Draghi.

L’auspicio era che si intervenisse con la legge di bilancio 2023 per una pianificazione pluriennale, questa invece non è intervenuta sulla materia se non per posticipare da giugno a settembre dell’anno appena iniziato la scadenza per la consegna dei beni materiali 4.0 soggetti alla più elevata aliquota 2022, a condizione che entro il 31 dicembre del 2022 fosse stato versato un acconto di almeno il 20%. Questa proroga, visto lo stato delle catene di approvvigionamento potrebbe non bastare.

Al momento le speranze sono in una riforma complessiva del piano Transizione 4.0, annunciata nel novembre scorso dal Ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso che dovrebbe essere varata nei primi mesi di quest’anno anche in funzione di una possibile revisione di alcuni parametri del PNRR.

Il piano Transizione 4.0 è stato finanziato con una dotazione finanziaria di 13,381 miliardi di euro, a cui si aggiungono 5,08 miliardi di euro del Fondo complementare con l’obiettivo di sostenere la trasformazione digitale delle imprese incentivando gli investimenti privati in beni e attività a sostegno della digitalizzazione attraverso il riconoscimento di un credito di imposta a fronte di: acquisto di beni materiali; acquisto di beni immateriali 4.0 (es. software avanzati); acquisto di beni immateriali tradizionali (es. software di base); attività di R&D&I; attività di formazione 4.0, secondo le specifiche previste dal Ministero dello Sviluppo economico.

Le forme di sostegno a Transizione 4.0 sono una evoluzione del Piano Nazionale Industria 4.0 che si proponeva di sostenere ed incentivare l’innovazione tecnologica del tessuto industriale e imprenditoriale italiano principalmente attraverso tre direttrici: operare in una logica di neutralità tecnologica, intervenire con azioni orizzontali e non settoriali, agire su fattori abilitanti.

I principali strumenti operativi messi in campo dal Piano Industria 4.0 erano l’iperammortamento e il superammortamento: il primo da utilizzare nel caso di acquisto di beni materiali nuovi, dispositivi e tecnologie abilitanti la trasformazione in chiave 4.0 e il secondo da utilizzare per l’acquisto di beni immateriali (software, sistemi e system integration, piattaforme e applicazioni), compiuti da imprese che già hanno beneficiato dell’iperammortamento. A questi si andavano a sommare la Nuova Sabatini, finalizzata a migliorare l’accesso al credito delle micro, piccole e medie imprese per l’acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature; il credito d’imposta R&D su spese incrementali in ricerca e sviluppo; il “patent box”, che prevedeva una riduzione delle aliquote IRES e IRAP sui redditi d’impresa connessi all’uso diretto o indiretto di beni immateriali, rispetto ai quali il contribuente conducesse attività di R&S connesse al loro mantenimento o sviluppo.

Le modifiche intervenute nel tempo hanno condotto al superamento del Piano Industria 4.0 dapprima in favore del Piano Impresa 4.0, già nel 2018, e, poi, del Piano Transizione 4.0 che da ultimo è stato rimodulato ad opera del PNRR. Tra le prime modifiche normative introdotte, la legge di bilancio 2020 ha disposto il superamento del sistema dell’iperammortamento e del superammortamento in favore di un credito d’imposta.

Dal primo gennaio 2023 è scaduto sia il regime di favore per l’acquisto di beni materiali e immateriali tradizionali che per le attività di formazione 4.0. Mentre si prevedono tagli significativi per l’acquisto di beni strumentali 4.0 (sia materiali che immateriali) così come per le attività di ricerca, sviluppo e innovazione. Il Taglio è più leggero solo per le attività di innovazione tecnologica “green”.

È difficile giudicare, per vari motivi, l’impatto complessivo del piano Industria 4.0 e tanto più di quelli seguenti, da ultimo il piano Transizione 4.0: dall’estrema variabilità delle misure, cambiate spessissimo e dall’aleatorietà del contesto economico di riferimento, caratterizzato da due gravi crisi di carattere internazionale, fino alla difficoltà di attribuire le decisioni concrete di investimento alla presenza degli incentivi, o ad altri fattori, ad esempio la maggiore competizione internazionale, e di comprendere se e come questi investimenti, eventualmente favoriti dai regimi incentivanti che si sono succeduti negli ultimi sei anni, si siano riflessi in una maggiore produttività dei fattori, il cui innalzamento è vero e ultimo obiettivo di queste misure.

Nei 6 anni precedenti il 2017, gli investimenti delle imprese siano diminuiti quattro volte su sei mentre nei 6 anni successivi siano sempre aumentati tranne nel 2020, annus horribilis della pandemia, come evidenzia uno studio della Banca d’Italia. Così come non sembra essere un caso la risalita nell’indice DESI, pubblicato ogni anno dalla Commissione europea, relativamente alla dimensione dell’integrazione delle tecnologie digitali nelle attività d’impresa. Se prendiamo l’edizione 2017, vediamo che tra gli allora 28 Stati membri UE l’Italia si piazzava al ventesimo posto, nell’edizione 2022, l’Italia si è classificata ottava, prima tra i grandi Paesi europei. Più del 60% delle imprese risulta aver investito in tecnologie digitali quantomeno di base, in maniera relativamente significativa.

Quanto poi si sia investito o meno per effetto degli incentivi rimane una delle questioni chiave da porsi. Uno studio dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (INAPP) ha stimato gli effetti del piano Industria 4.0 e dei bonus occupazionali. Il 39,3% delle imprese che hanno ottenuto agevolazioni legate a Industria 4.0 ha dichiarato di avere investito grazie ad esse contro il 40,8% che ha detto di aver assunto grazie alle decontribuzioni previste. Questa percentuale va ad aumentare al crescere della dimensione aziendale nel caso di Industria 4.0 mentre, a differenza dei bonus occupazionali, risulta decisamente minore per le micro-imprese oltre che per quelle di maggiori dimensioni.

Detto che maggiori investimenti in digitalizzazione e nella transizione ecologica sono indispensabili per un’economia in salute, un presupposto dello stesso PNRR, e che la crescita la fanno in primis le imprese, sarebbe controproducente depotenziare un programma come Transizione 4.0, ad oggi di gran lunga il principale strumento in campo per accelerare l’innovazione in Italia. Il principale vantaggio di misure fiscali automatiche e di facile accessibilità come quelle contenute nel piano Industria 4.0 e poi in Impresa 4.0 e Transizione 4.0 è quello di favorire la partecipazione delle PMI, che sono proprio i soggetti che hanno bisogno della maggiore spinta per abbracciare con convinzione la transizione digitale oltre a costituire la stragrande maggioranza delle aziende italiane e dunque il tessuto indispensabile del sistema produttivo italiano.

Dalle valutazioni fatte finora gli incentivi dovrebbero dare stabilità alle misure preesistenti (tornando al 2022) e massima priorità andrebbe data ai beni immateriali 4.0, alla formazione 4.0 e alla ricerca e sviluppo. Soprattutto concentrando gli sforzi sulle piccole e medie imprese e al contempo incoraggiando la crescita dimensionale delle micro-imprese, che come noto evidenziano il massimo deficit di produttività con gli altri Paesi più avanzati.

È importante che ci sia una revisione del piano Transizione 4.0 e che sia svolta bene, ascoltando le parti nonché gli esperti, che sia stabile negli anni e che diventi al più presto operativa.

Per aggiornamenti e approfondimenti sulla Transizione 4.0, come accedere ai finanziamenti, quali finanziamenti sono disponibili potete contattarci su info@theorema.eu

Immagine di una bussola su una carta nautica
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